LA SCUOLA AI TEMPI DEL COVID




Fano, settembre-dicembre 2020.



“Strani giorni, viviamo strani giorni” cantava Franco Battiato nel 1996. Nel 1996 sono certo che i giorni e i tempi non fossero strani quanto quelli che ci troviamo a vivere ora. Da un momento all’altro, tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo del 2020 la nostra “vita normale” si è fermata ed è stata rimpiazzata per mesi da altro, da qualcosa di completamente nuovo, da un insieme di consuetudini inedite e di regole che mai avremmo immaginato di dover rispettare. A volte mi è capitato di riflettere sulle mie paure, su ciò che nella vita avrei preferito non sperimentare. Ero quasi certo, storia dell’uomo alla mano, che avrei vissuto una guerra. Mai avrei pensato, invece, a una pandemia. Tutto sommato mi ritengo, ad oggi, fortunato.

Tutto è iniziato il 19 febbraio del 2020. Da Codogno, in provincia di Lodi, arriva la notizia del primo caso di italiano contagiato da coronavirus. Non si tratta del primo caso su suolo italiano, già venti giorni prima una coppia di signori cinesi era stata trovata positiva al virus a Roma e subito isolata e curata all’ospedale Spallanzani. Il virus era già noto in Cina da novembre-dicembre, le notizie sull’isolamento della città di Wuhan, con 12 milioni di persone rinchiuse in casa, avevano colpito l’opinione pubblica di tutto il mondo. Ma in pochi, in realtà, avrebbero pensato di dover vivere in prima persona un’esperienza così lontana, in pochi percepivano come parte di una vicina minaccia le immagini di quei grattacieli dalle cui finestre tante persone gridavano per farsi forza a vicenda. Quasi nessuno sentiva quel virus come una minaccia per noi. Era lontano. Come se in un mondo globale come quello in cui viviamo esistesse qualcosa di davvero lontano.

Nelle Marche le notizie dei primi contagiati, proprio qui tra Fano e Pesaro, arrivano pochi giorni dopo. Il numero di infetti cresce da subito con progressione esponenziale. Le scuole vengono chiuse, qui, già il 25 di febbraio (il lockdown nazionale inizierà il 9 marzo). Non riapriranno più fino al nuovo anno scolastico, a metà settembre. Ricordo che, in un primo momento, pensai che le scuole sarebbero rimaste chiuse per una settimana, forse dieci giorni. La presi come una breve vacanza, un momento di riposo, un’occasione per rilassarmi e fare cose che, con i miei normali ritmi lavorativi, non potevo fare. Mi sbagliavo, e lo capii presto. Già a metà marzo, confrontandomi con i colleghi nelle varie chat o in videoconferenza, era ben chiaro che l’anno scolastico 2019-2020 era terminato. E così fu.

E poi l’estate, la speranza di averla scampata, che tutto fosse alle spalle, confortata dai dati della curva del contagio, con numeri bassissimi per almeno due mesi. E la scuola che riparte: diversa, piena di regole, ma in presenza, con i nostri ragazzi mascherati, flaconi di disinfettante ovunque, i banchi distanziati.

Si è andati avanti così per poco più di un mese. Poi la curva del contagio si è di nuovo impennata . Siamo nella seconda metà di ottobre, e in Italia ci rendiamo conto che le scuole sono sicure, tutto il resto no: i mezzi di trasporto non sono sufficienti a garantire un adeguato distanziamento, i ragazzi fuori da scuola come è normale che sia si raggruppano. E si torna a chiudere. Prima del tutto, poi parzialmente, con i soli ragazzi fragili a mantenere il diritto di frequentare la scuola in presenza, qualora le famiglie lo ritengano opportuno.

É proprio in questo momento che, osservando il mio mondo e vedendolo diverso da come l’ho conosciuto per oltre 15 anni, inizio a scattare foto, nei momenti liberi che mi si presentano durante le mattinate a scuola con i miei ragazzi. Le scatto con il mio smartphone, il mezzo più agile e meno invadente che ho a disposizione.

Le aule vuote, la segnaletica, i pochi ragazzi fragili, le lezioni davanti a un tablet o al pc di casa. Quello che non posso immortalare è il silenzio. Quello che posso raccontare solo a parole è la tristezza di un Liceo Artistico pieno di vitalità, creatività, idee, ora avvolto in un silenzio irreale, in cui l’unica umanità è quella di noi adulti, che ci rendiamo conto di quanto ci manchino i nostri ragazzi e di quanto la scuola sia, profondamente, dedicata a loro.

Complimentandomi con tutte le componenti del Liceo Artistico Apolloni per l’attenzione al rispetto delle norme, per l’adeguamento puntuale e preciso dell’edificio al fine di tenere tutti noi al sicuro, lascio la parola alle immagini. Sperando di non poterne scattare  mai più di simili.

Fano, 29 dicembre 2020.

Testo e immagini di Tommaso Della Dora.

Si ringraziano per la collaborazione tutti i docenti e i collaboratori scolastici del Liceo Artistico Apolloni di Fano, in particolar modo il Dirigente Scolastico Prof. Samuele Giombi e la Vice Preside Prof.ssa Silvia Mazzacuva.
Le misure di sicurezza partono prima di cominciare, con un test sierologico negativo.
Trovare parcheggio a scuola quest'anno non è un problema.
L'aspetto della scuola è stravolto da tutte le indicazioni necessarie a mantenere la sicurezza all'interno dell'edificio.
I pochi ragazzi attendono la campanella. A loro sarà misurata la temperatura con il termoscanner. La loro diligenza nel rispetto delle norme non è mai stata messa in discussione.
Ora l'ordinario è questo: aule semivuote, ambienti semivuoti, una scuola profondamente diversa.
Con i nostri ragazzi fragili non è sempre possibile azzerare i contatti. Per questo noi operatori siamo tenuti ad innalzare al massimo le precauzioni.
Insegnanti, collaboratori... la solitudine è la stessa per tutti.
Le scale vuote. Chi non frequenta la scuola non capirà quanto questa immagine risulti strana e spiazzante per chi invece la frequenta.
Lezioni online, da scuola e da casa. 
Spazi vuoti.
L'aula Covid.
Il disinfettante ci è ormai familiare quanto i quaderni, le penne, le matite.
Un normale momento al lavoro nel 2020.
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